A colloquio con Marta
Si chiama Marta Scrofani, ed è una giovane violinista siciliana che da oltre un anno ricopre il ruolo di spalla nell’Orchestra Giovanile Italiana: le chiediamo di raccontarci qualcosa di sé e di questa esperienza nell’OGI.
Qual è stato il tuo percorso musicale?
Ho conosciuto la musica da piccola, a casa di mia nonna. Aveva un bellissimo pianoforte (lei era pianista), sul quale mi divertivo a strimpellare. Ricordo ancora che poco dopo, all’esame di ammissione della scuola di musica del mio paese dove cominciai a “studiare” musica, suonai al piano una piccola melodia imparata con la nonna.
La suonai utilizzando solo gli indici, ma tanto bastò per ricevere il mio primo strumento, il violino. È sempre cominciato per gioco, e anche andando avanti con gli anni, al Conservatorio di Catania, la musica era il mio sfogo e anche il pretesto per divertirmi nei corridoi dell’istituto e incontrare i miei amici musicisti. Crescendo ho cominciato a capire che quella sarebbe stata la mia strada e che quindi la musica sarebbe diventata anche il mio lavoro. Ho incontrato moltissimi insegnanti differenti, ed ognuno di loro mi ha dato tanto. Ho imparato a carpire il meglio da ogni insegnante e a costruire un mio modo di vedere la musica e lo strumento.
Come sei arrivata a scegliere la proposta formativa della Scuola di Musica di Fiesole?
Ricordo che, durante i miei studi a Catania, molti mi parlavano dell’Orchestra Giovanile Italiana e un paio di amici la frequentavano. Mi sembrava un mondo così lontano dal mio, lo credevo inaccessibile, ne avevo forse anche un po’ paura. Ma sono cresciuta anche io e, fortunatamente, ho deciso di cominciare questo percorso.
Dopo oltre un anno nel quale hai avuto la responsabilità del ruolo di spalla, qual è il bilancio della tua esperienza nell’Orchestra Giovanile Italiana?
Non esagero nel dire che quest’anno passato in Giovanile è stato l’anno più bello della mia vita. È un’esperienza unica, che mi ha fatto crescere come musicista e come persona. Passare un anno intero a contatto con altri musicisti, crescere insieme a loro, diventare una famiglia, diventare un tutt’uno, è indescrivibile. Da spalla ho avuto la fortuna di vivere davvero appieno la Giovanile e tutte le mille opportunità, ricchezze, difficoltà che ogni produzione ci portava ad affrontare. Stringere la mano di direttori di fama internazionale ed eseguire insieme a loro, sotto la loro guida, imponenti programmi sinfonici che raramente capita di poter suonare, è ogni volta meraviglioso. L’OGI è senza dubbio un percorso formativo di alto livello, per ragazzi che amano la musica e hanno il desiderio di imparare a stare in orchestra, di imparare ad ascoltare. Costruire un’orchestra dal niente sembra un’impresa irraggiungibile, ma il risultato che si ottiene alla fine del percorso riesce ad eguagliare senza dubbio quello che si ascolta nelle orchestre professionali della nostra Italia.
Quali sono stati i momenti più significativi che hai vissuto all’interno dell’orchestra?
Ogni momento, ogni secondo, ogni attimo è stato significativo. Tutto: dal primo all’ultimo giorno. La Giovanile è paura, preoccupazione, adrenalina, amore, passione, lacrime, speranza, felicità. È la vita con la musica. Se dovessi comunque fare un bilancio e mettere sul podio i momenti più emozionanti, parlerei sicuramente delle tre grandi esperienze dell’estate 2016: la chiusura del Ravello Festival con Jeffrey Tate è stata una lezione – ed una soddisfazione – che non dimenticheremo; la partecipazione al corso di direzione di Daniele Gatti ci ha insegnato moltissimo sull’importanza dell’incontro con un grande direttore, mostrandoci come, non appena il Maestro alzava la bacchetta per spiegare agli allievi come ottenere un colore dall’orchestra, succedesse il miracolo di trasformare l’OGI in uno strumento nuovo e perfetto. Infine la fittissima settimana al festival MiTo è stata per tutti noi di grande impatto, ma per chi, come me, ha preso parte anche ai programmi cameristici con Andrea Lucchesini, si è trattato di un’esperienza fantastica: suonare con lui il Quartetto op. 25 di Brahms è stato un privilegio, ed un’occasione per imparare tantissimo.
Comunque penso che, in ogni concerto, le emozioni più forti siano sempre l’inizio e la fine. L’inizio è adrenalina pura, voglia di fare bene, di riuscire a tradurre ogni gesto del direttore in musica. L’inizio è gli sguardi tra i colleghi, la complicità di cominciare un’avventura insieme, l’ennesima, che è sempre diversa ogni volta. La fine invece, è forse ancora meglio. È la voglia di rimanere tutti collegati in questo meraviglioso nodo di musica che si è riusciti a creare tutti insieme, è il desiderio di non spegnere un fuoco che ormai arde impavidamente. La fine è lacrime di gioia, emozione pura. La fine è la voglia di rimanere insieme e non tornare a essere individui singoli. Voglia di rimanere nella musica e con la musica. Ma dopotutto, solo arrivando alla fine si apprezza davvero qualcosa.
Progetti per il futuro?
In realtà ho il difetto di non fare mai dei programmi. In generale, spero di riuscire a vivere di musica, così come succede in Giovanile, amarla con entusiasmo e non esserne mai annoiata. Vorrei suonare in orchestra, vincere un concorso importante per entrare in un’orchestra che abbia ancora la voglia di fare musica.