Viene da Udine, e suona l’oboe nell’Orchestra Giovanile Italiana con grande passione e professionalità. Gli abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa di sé…
Come hai scelto il tuo strumento?
Ho preso contatto con la musica sin dalla più tenera età: a 2 anni e mezzo ho iniziato con i primi rudimenti musicali, in forma di gioco, seguendo dei corsi con il metodo Willems. Verso l’età di 6 anni, assieme ad altri miei coetanei, sono stato guidato in giornate di presentazione di vari strumenti. Ed è in questa occasione che ho intravisto un uomo esile, intento a sferruzzare con dei curiosi utensili (i coltelli per fare le ance).
Incuriosito, mi sono fatto avanti e ho domandato che strumento suonasse, al che egli mi ha risposto “questo è l’oboe, si suona con questi piccoli pezzi di canna fra le labbra e tanta aria”. Dopo averne udito il suono, ho intuito che quello era lo strumento che desideravo. In realtà, prima di quel giorno, avevo deciso di suonare il trombone.
Quando hai deciso che la musica sarebbe stata anche la tua attività professionale?
La musica come attività professionale è per me la logica conseguenza del continuare su un percorso così impegnativo: siamo musicisti, nati per fare questo, ed è giusto fare il lavoro che ci piace, per avere sia le ragioni pratiche sia il sostegno (non meramente economico) necessario a migliorare noi stessi e la nostra arte. In tutto ciò che si fa, secondo me, deve esserci il tendere ad uno scopo: il mio è di vivere una vita piena, godendo dei benefici dell’unica ragione di vita che conosco: la musica. Senza tanta poesia, non conosco altra realtà, vi sono nato dentro ed a volte è quasi una tortura, un amore e odio che da sempre mi accompagna.
Come sei arrivato all’Orchestra Giovanile Italiana? Avevi già fatto esperienza in orchestra?
Prima dell’OGI avevo già fatto parte di tre formazioni sinfoniche giovanili internazionali, oltre alle esperienze con il conservatorio e numerose orchestre di fiati. Chiaramente il livello qui è più alto, con musicisti più maturi, ma le mie passate esperienze erano commisurate ai miei progressi. Della Giovanile avevo molto sentito parlare e, devo dire, anche negativamente, ma giunto il momento ho deciso di tentare la sorte e ora ne sono davvero felice. Per entrare ho semplicemente sostenuto l’audizione, ma il difficile è arrivato dopo…
Qual è stato l’impatto con questo corso?
L’impatto con questo corso è stato, in una parola, Pretto. Il modo di lavorare del maestro mi ha quasi stordito, all’inizio, e colpito per la tenacia nel farci provare così a lungo ed intensamente (a volte forse troppo). E non è cambiato di una virgola, fa sempre lo stesso effetto, ma spesso sprona a migliorarsi. Poi i nuovi colleghi, tanti musicisti e amici nuovi, un clima stimolante e la responsabilità di essere sempre preparati al meglio hanno grandemente contribuito a sorprendermi con nuove esperienze.
Hai scelto di rimanere per un secondo anno nell’OGI: cosa ha determinato il desiderio di proseguire?
Restare è stata una scelta determinata dall’esperienza estremamente positiva dell’anno passato, in termini pratici ed affettivi. La Giovanile è un po’ una seconda casa… L’ho vista come una base solida, dalla quale cercare le mie esperienze future, cioè per quello che è, ovvero un corso di formazione non solo musicale ma anche sociale, caratteriale, per avviare noi ragazzi ad un futuro lavorativo in un ambiente tra i più complicati.
Il momento più difficile…
Forse è ora che vivo il momento più duro. Sento di dover cambiare qualcosa, non sono pienamente soddisfatto e sono un po’ incerto sulla strada da seguire per ottenere il miglioramento che desidero. Mi manca una guida, un punto di riferimento e devo crearmelo da solo. Un lavoro duro, ma sono fiducioso, anche se stanco e un po’ provato. Non mi accontento, pretendo e so di poter dare e ricevere di più dalla musica e, per rispetto verso di essa e me stesso, è ciò che intendo fare. Ma questo comporta i dubbi e sacrifici che tutti i miei amici e colleghi musicisti conoscono bene.
…e l’esperienza indimenticabile…
Musicalmente, il tour di ottobre dell’OGI 2016 è stato il migliore, per me. Non tanto per il repertorio o il direttore, quanto perché è stato il raggiungimento di un traguardo, la fine di un percorso con molti colleghi ed amici ormai affiatati e felici di suonare insieme. Mi sono veramente goduto i concerti ed è stata un’esperienza fantastica e piena.
Davvero indimenticabile è stata anche la prova che la musica mi ha dato di essere il collante che tiene insieme la mia vita, legandomi alla persona che amo: Vanja è una violinista che ho conosciuto grazie alla musica nel 2012. Siamo tutt’ora insieme contro tutte le difficoltà. Nei primi giorni con lei ho inteso cosa significhi “suonare per coloro che ami”. Realizzare quanto la musica rappresenti condivisione e ricchezza personale, libera da poter donare e ricevere, mi ha aperto gli occhi.