Sono 297 i giovani musicisti che stanno partecipando alle audizioni per entrare nell’Orchestra Giovanile Italiana 2017: il numero, davvero alto (ed in crescita costante negli ultimi anni), rende la Scuola orgogliosa ed ancora più responsabilizzata nei confronti di un progetto didattico di grande impegno e visibilità come l’OGI. Di questo ed altro parliamo con Giampaolo Pretto, dal 2012 maestro preparatore della Giovanile e da sempre vicino alla Scuola, prima come giovanissimo primo flauto dell’OGI, dal 2000 come docente dell’orchestra per la preparazione individuale dei flauti e la sezione fiati, e dal 2014 nei Corsi di Perfezionamento per la musica da camera.
Questi numeri parlano chiaro: entrare nell’Orchestra Giovanile Italiana è un obiettivo importante, per i giovani musicisti.
Sono davvero orgoglioso di questi risultati, resi ancora più eccezionali dal contesto nel quale attecchiscono, visto che mai prima d’ora, in Italia, si era assistito ad una simile corsa, scomposta e scoordinata, a fondare compagini giovanili; in gran parte finalizzate a sfruttare professionalità (peraltro non pienamente formate) a basso costo.
L’OGI dimostra invece ancora una volta, dopo trentadue anni, di essere un’iniziativa con dei tratti di eccezionalità evidentemente indiscussi, in primo luogo, da chi ne fruisce.
E non parlo solo dei giovani, che la scelgono per la qualità e serietà che le vengono riconosciute da tutti coloro che vogliano definirsi un minimo obiettivi e perfino dai competitori…
Ma anche…?
Parlo anche delle Società di concerti e di distribuzione in generale che, ancor più negli ultimi anni, continuano ad attribuire all’OGI quella fiducia che i risultati di palese eccellenza dimostrano di meritare in pieno. I numeri che abbiamo visto dipendono anche dal fatto, molto semplice, che la qualità passa di bocca in bocca, e dopo un’annata di concerti splendidi come questa, chi tra i giovani non vorrebbe far parte dell’Orchestra Giovanile Italiana?
Parliamo dei concerti: quali sono stati nel 2016 i momenti di maggior entusiasmo e soddisfazione per l’orchestra?
Avere l’onore di aprire e chiudere, con due memorabili concerti, una delle rassegne più rinomate d’Europa come il Ravello Festival, accanto ad alcune tra le più importanti compagini internazionali, ha costituito senza dubbio uno dei momenti più significativi del percorso OGI dalla sua fondazione: per di più con bacchette di prestigio indiscutibile, come il giovane Juraj Valčuha, già direttore principale della Nazionale Rai e attualmente direttore del San Carlo, e il celeberrimo Jeffrey Tate, di altra generazione e di diversa ma acclamata esperienza. Si parla di musicisti che dirigono abitualmente le più importanti orchestre del mondo! Per proseguire poi con un’esperienza formativa quant’altre mai, come quella di supportare il Corso di direzione d’orchestra del direttore italiano che il mondo ci invidia di più, Daniele Gatti, (principale al Concertgebouw di Amsterdam), storico sostenitore dell’OGI, presso un’Istituzione di primaria eccellenza come l’Accademia Chigiana di Siena. I ragazzi mi hanno riferito di avere imparato tantissimo, nel dover rispondere alle richieste dei giovani direttori alternate alle correzioni di un artista così profondo ed esperto come Gatti. Per non parlare dell’esecuzione, come orchestra residente su piano triennale all’Unione Musicale di Torino, di un capolavoro come la Quinta sinfonia di Mahler col giovane ma già affermato Andris Poga, o del profondo scambio loro offerto da Andrea Lucchesini in occasione del Festival Mito, che ha visto i ragazzi coinvolti e valorizzati al suo fianco, sia in veste di cameristi che di partner sinfonici nell’esecuzione dei due concerti in do minore di Mozart e Beethoven in diretta radiofonica nazionale; continuando con la splendida triade autunnale di concerti con John Axelrod, e senza tacere la fondamentale esperienza operistica con Nicola Paszkowski nella Vedova Allegra di Lehàr che aveva aperto le “danze”: i nostri ragazzi hanno avuto modo di confrontarsi coi generi operistico, sinfonico, cameristico, da punti d’osservazione diversi e sempre attuali, mettendo a segno esperienze che ricorderanno per sempre e che costituiscono l’ossatura più profonda e indelebile nel loro percorso di formazione. Credo onestamente che una scuola di avviamento alla più bella professione del mondo non avrebbe potuto offrire un carnet più vario e completo.
Quindi è il connubio tra queste prestigiose occasioni di performance e la serietà del percorso formativo, a rendere il progetto ancora attraente?
Sto per iniziare il mio diciassettesimo anno come docente OGI: continuo ad essere profondamente grato a Piero Farulli per aver fondato qualcosa che dopo tutti questi anni costituisce ancora un valore primario nel panorama dell’alta didattica di questo Paese; e onorato di poter fornire il mio piccolo contributo, per quanto possa valere. In particolare, la scommessa intrapresa da Andrea Lucchesini qualche anno fa, e ampiamente da me sostenuta, nel voler conferire un’ulteriore centralità alla qualità e alla selettività dei nostri studenti, si è rivelata palesemente una scelta vincente: i giovani vogliono e cercano tale selezione, e amano competere per stare in alto assieme ad altri che stanno in alto: il tutto imparando, perché è questo primariamente che cercano da noi. Anche per questo l’OGI è vista spesso come un punto di passaggio, transitorio ma ambìto tra i diversi livelli della loro formazione personale: se è vero che molti di loro entrano in OGI prima di avviarsi allo studio all’estero, altri, e sempre più frequentemente, vengono in OGI dopo averlo già fatto; a dimostrazione che l’Istituzione è considerata ben altro che un parcheggio momentaneo in attesa di meglio.
Quali altri sono i punti di forza dell’OGI?
Certamente il lavoro di squadra, che ha funzionato e funziona al meglio: dai docenti “storici” alle recenti acquisizioni, tutti hanno dato un’ulteriore sferzata di energia e rinnovamento, sostenuti dalla direzione, fino ad oggi gestita da Andrea Lucchesini; sono sicuro che anche il nuovo Direttore Artistico, contagiato dal nostro entusiasmo e constatati i risultati ottenuti (era presente al concerto dell’OGI a Perugia in ottobre – n.d.r.), porterà certamente nuove idee, che non vedo l’ora di condividere. Un plauso sincero e meritatissimo va infine a due persone che lavorano per garantire il funzionamento della “macchina” in modo esemplare e ammirevole: Giovanna Berti e Stefano Angius, vere colonne di qualità, dedizione, intelligenza e sensibilità. Senza di loro, davvero, l’OGI non sarebbe quello che è.
Cosa può essere ancora migliorato?
Una più forte comunicazione mediatica, realistica e non retorica, (basta far parlare i fatti) di ciò che siamo e facciamo; l’incentivazione delle borse di studio (la Compagnia di San Paolo, che ne ha garantito una buona fetta per molti anni, ha ritenuto di porvi fine, e andrebbe urgentemente sostituita da altre forze); un’ulteriore forma di convenzione e collaborazione coi diversi partner nostri simili sul territorio italiano e internazionale, e certamente molte cose ancora: la musica richiede sempre il meglio, e al meglio non c’è mai fine.
Facciamo un passo indietro: come sei arrivato alla Scuola? Quali sono i tuoi ricordi di giovane musicista nell’OGI?
Arrivai, diciassettenne, da una realtà provinciale come quella veronese, di neo-diplomato pieno di speranze. Fiesole mi ha dato tutto: dopo tre mesi dall’ultima tournée dell’OGI vinsi il concorso di primo flauto alla Rai di Milano. Fiesole mi ha fatto innamorare, letteralmente, del fenomeno “orchestra”, e di tutto ciò che le sta attorno. Dopo più di trent’anni questo amore non è scalfito nemmeno minimamente: l’orchestra, a mio parere, rimane uno dei paradigmi virtuosi della possibilità degli umani di cooperare tra di loro per un fine comune. Dopo un concerto che per me fu molto emozionante, a Fiesole, nel lontano 1983, Piero Farulli mi disse: “Bravo Giampaolo; ma ricordati, la prossima volta, di suonare meglio!” Non ho mai dimenticato questa frase, che sta alla base tuttora del mio approccio alla musica.
Sei entrato giovanissimo in una compagine di grande prestigio e, dal 1993, hai contribuito alla nascita ed all’attività del Quintetto Bibiena, un ensemble cameristico di altissima qualità. Oltre all’attività concertistica coltivi la composizione e la direzione d’orchestra… Come hai trovato il tempo e le energie per l’insegnamento a Fiesole?
Non ho bisogno di energie, per insegnare a Fiesole: è la Scuola che, sebbene quando vengo ci lavori per 10-12 ore al giorno, mi carica delle energie che mi bastano per le settimane seguenti. È molto più quello che ricevo di quello che do; ciò nonostante, ogni volta, ogni anno, come la tela di Penelope, ricomincio a tessere ciò che so e che posso, studiando tanto e cercando ogni volta di esserne all’altezza: sperando che questo possa costituire anche il minimo aiuto per questi ragazzi che mettono ancora, dopo tanti anni, nelle nostre mani, un inestimabile carico di fiducia e di aspettative.